Esattamente in queste settimane di 14 anni fa, a partire dal 12 Novembre 2007, le edicole degli Stati Uniti accoglievano la Special Collector's Edition della rivista EBONY dedicata al 25° anniversario dell'uscita di "Thriller".
Il 28 dello stesso mese, quell'edizione speciale sarebbe arrivata anche nel Regno Unito, mentre per l'Italia si sarebbe dovuto aspettare i primi di Dicembre, al costo di 6 euro.
Al suo interno, oltre alle immagini del celebre photoshoot curato da Matthew Russell Rolston, una lunga intervista a Michael nella quale ebbe l'opportunità di svelare alcuni dettagli del suo processo creativo, per poi allargare lo sguardo anche ad alcuni importanti temi d'attualità: "Michael Jackson in his own words".
Eccone qualche passaggio particolarmente interessante:
«[Dopo l'uscita di "Off The Wall"] è stata una transizione TOTALE.
Fin dalla mia infanzia, studio composizione. E Tchaikovsky resta la mia maggiore influenza. Se prendete un album come "Lo Schiaccianoci", ogni canzone è sconvolgente.
Allora mi sono detto: "Perché non c'è un equivalente nella musica pop?".
Gli artisti avevano l'abitudine di pubblicare degli album con UNA buona canzone, e il resto per lo più Lati B, o al limite canzoni "da album". Mi sono chiesto perché un album non potesse essere costituito da brani che fossero TUTTI delle hits, in modo che le persone fossero pronte ad acquistarli se fossero usciti tutti come singoli.
Ho sempre seguito questo ragionamento, senza demordere: era il mio obiettivo per l'album seguente. Era l'idea principale.
Volevo essere in grado di far uscire come singolo QUALUNQUE canzone decidessimo di utilizzare. Ho lavorato duro per questo».
«Lavorare con Quincy era meraviglioso.
Ti lascia sperimentare, fare il tuo gioco, e ha abbastanza genialità da non prendere l'iniziativa sulla musica. Se poi dev'essere aggiunto un ulteriore ingrediente, lo aggiungerà. E sente tutti quei piccoli dettagli...
Per esempio, per "Billie Jean", io avevo portato la linea dei bassi, la melodia e la composizione globale. Dopo averla ascoltata, lui vi ha piazzato un riff di maggiore effetto...
Lavoravamo su una canzone, e poi ci vedevamo da lui. Ascoltavamo il risultato, e lui mi diceva:
"Smelly, lascia che questa traccia ti parli". Rispondevo: "Ok!".
E aggiungeva: "Se la canzone ha bisogno di qualcosa, te lo dirà lei stessa. Lasciala parlare!".
Ho imparato a farlo. Il trucco è che, per essere un buon compositore, non bisogna comporre.
Bisogna mantenere le distanze... bisogna lasciar spazio a Dio.
E quando scrivo qualcosa e sento che è una buona cosa, mi metto in ginocchio, e ringrazio.
Grazie, Jehovah!».
«Quando scrivo, dapprima faccio una bozza, per rendermi conto fino a che punto amo il ritornello. Se funziona su di me quando non è altro che una versione spogliata, allora so per certo che funzionerà... [...]
La melodia è l'elemento più importante. Se la melodia mi piace, se la versione abbozzata funziona, allora continuo.
In genere, se suona bene nella mia testa, allora rende bene una volta che la materializzo. [...]
Se prendete ad esempio una canzone come "Billie Jean", il basso occupa una parte molto importante. Domina la canzone, è il protagonista del pezzo, è il riff principale che salta all'orecchio.
Captare la personalità di quel riff e farlo suonare esattamente come lo si è pensato, richiede molto tempo e lavoro. Ascoltatelo... ci sono quattro bassi lì dentro, ciascuno che suona con una personalità diversa. Ed è questo a dare il risultato finale... Richiede molto lavoro».
«Sono felice di notare che sono riuscito ad aprire delle porte, che questo mio lavoro ha fatto sviluppare qualcosa.
Partire in tournée, nel mondo intero, vedere l'influenza di questa musica negli stadi...
Quando guardi in lontananza dal palco, tanto lontano quando te lo permettono i tuoi occhi... è incredibile vedere tutte quelle persone. È una sensazione meravigliosa, ma non è arrivata senza dolore».
«Mi sento estremamente coinvolto nell'impegno contro il riscaldamento del pianeta.
Immaginavo che tutto questo sarebbe accaduto, ma speravo che i dirigenti sensibilizzassero l'opinione pubblica un po' prima. Però non è mai troppo tardi.
Descrivono il fenomeno come un treno ormai lanciato a piena velocità, e che non si può arrestare. Invece bisogna occuparsene OGGI.
È quello che io ho cercato di fare con canzoni come "Earth Song", "Heal The World" e "We Are The World", con l'obiettivo di sensibilizzare le persone. Mi piacerebbe che ascoltassero ogni parola».
«Il Michael di prima [di 25 anni fa] è probabilmente lo stesso Michael di oggi.
Volevo solamente realizzare alcune cose. Avevo certi progetti in mente, come avere dei bambini e crescerli... Mi piace enormemente farlo».
È sempre qualcosa di molto suggestivo, sentire Michael parlare di sé in prima persona.
Qui nei commenti, potrete leggere l'intervista integrale e ascoltarne l'audio sottotitolato in italiano, nonché dare un'occhiata al photoshoot completo di Matthew Rolston che 14 anni fa la accompagnò sulle pagine della rivista, destinato a rimanere l'ultimo servizio fotografico in assoluto realizzato da Michael nella sua vita.
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