Io sono abbastanza basito.
Lunedì, come forse sapete, R. Kelly (tra le altre cose, autore di You Are Not Alone, Cry e One More Chance) è stato dichiarato colpevole di traffico sessuale e di abusi sessuali su minori.
La pena detentiva verrà emessa il 4 maggio 2022, ed è probabile che trascorrerà qualche decennio dietro le sbarre.
A questo proposito, stavo leggendo un articolo dell'InsideHook relativo alla possibile rimozione della musica di Kelly da servizi musicali come Apple Music, Amazon Music e Spotify.
Quest'ultimo, per inciso, già nel maggio del 2018 aveva rimosso le canzoni del cantante dalle sue playlist ufficiali. Con questa motivazione: «Vogliamo che le decisioni editoriali - le cose che scegliamo di programmare - riflettano i nostri valori».
Tutto questo vi ricorda qualcosa?
All'anonimo articolista dell'InsideHook, nel suo goffo tentativo di denunciare l'ipocrisia di chi vorrebbe legare le opere degli artisti alle loro vicende private, sicuramente sì:
«La musica di Michael Jackson è ancora in streaming nonostante sia stato accusato di aver abusato sessualmente di bambini, e ci sono innumerevoli altri personaggi sgradevoli la cui musica rimane molto popolare ancora oggi.
Dovremmo togliere la musica dei Beatles dai servizi di streaming perché John Lennon era un abusatore domestico dichiarato?
Per la miseria, anche la musica di Charles Manson è ancora in streaming su Spotify».
Ora, premesso che sull'opportunità di tenere ben delineati i confini tra produzione artistica e vita privata concordo anch'io, vi chiedo: ma come cazzo si fa a mettere sullo stesso piano un condannato per traffico e abusi su minori, un criminale sanguinario (anch'esso condannato), e Michael Jackson, accusato e assolto da 14 capi d'imputazione in un tribunale degli Stati Uniti?
Cioè, se domani accuso la madre del suddetto articolista di essere una una buona donna, ella diventa automaticamente una buona donna o la cosa deve essere giurisdizionalmente dimostrata per essere considerata un fatto?
Vabbè, ora sapete perché sono basito.
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