МАЙКЪЛ ДЖЕКСЪН * В НАМЕРЕНИЕТО СИ ДА ПУБЛИКУВАМ ВСИЧКО ЗА МАЙКЪЛ ДЖЕКСЪН, СЕ НАДЯВАМ ТУК ДА НАМЕРИТЕ СВОИТЕ ОТГОВОРИ ЗА НЕГОВИЯТ НАЧИН НА ЖИВОТ, ГЕНИЙ, ТАЛАНТ, НЕГОВИТЕ СЛАБОСТИ И СТРАСТИ, КАТО НОРМАЛНО ЧОВЕШКО СЪЩЕСТВО! ДА СЕ ОПИТАМЕ ДА СЕ ДОКОСНЕМ ДО ВСЕЛЕНАТА, НАРЕЧЕНА МАЙКЪЛ ДЖЕКСЪН!
Marco Di Gregorio
LA FILOSOFIA DEL VIDEO DI STRANGER IN MOSCOW - PRIMA PARTE
Siamo a Mosca, o in qualsiasi altra grigia metropoli del mondo.
Il tempo è uggioso; la scelta di aver girato il video in bianco e nero è assolutamente azzeccata, così come la meravigliosa fotografia, entrambi a cura di Nick Brandt.
Un uomo guarda la città dal suo appartamento.
Già dalla prima inquadratura si percepisce un senso opprimente di tristezza: l'uomo non ha nemmeno voglia di prepararsi un pasto decente, prediligendo un pigro barattolo di fagioli.
Una donna è seduta in un bar, osservando la sua tazza di caffè, mentre il mondo continua a scorrere attorno a lei, nella solita routine consumistica.
Un mendicante è sdraiato sul marciapiede, mentre le altre persone gli passano accanto senza nemmeno notare l'invisibile della società.
Lui li guarda dalla sua prospettiva, ovvero dal basso verso l'alto, a ricordargli in quale ordine sociale egli stia.
Il martellar del drum beat effigia il caos metropolitano, nel quale la fretta, l'indifferenza e lo scalpitio del capitalismo galoppano verso un futuro incerto.
I rumori esterni sono ancora udibili: i passi della gente, il traffico, il movimento urbano... D'un tratto, la donna alza lo sguardo sulle meste note di chitarra che mettono a tacere il respiro pesante della frenetica città, facendo spazio alla sola musica, e si accorge che le persone camminano a rallentatore.
Anche il mendicante nota la stessa identica cosa.
Gli archi sottentrano delicati, sollevandosi da terra come il volo di una farfalla.
Essi sono come pensieri cupi, che volano verso il cielo ricoperto di nuvole pronte a scaricare pioggia, pronte a far ricadere gli stessi pensieri sulle teste della gente che li esprime liberandoli nell'aria.
Michael Jackson cammina sul marciapiede, come una persona comune, in mezzo a persone comuni.
Anche lui si muove a normale velocità, mentre il resto scorre lentamente.
Ma per lui, ciò non rappresenta una sorpresa.
È come se vedesse il mondo in questo modo già da un po' di tempo, da quando un ragazzino lo accusò di un crimine spregevole.
Egli inizia a cantare una canzone malinconica, intima, amara: “Vagavo nella pioggia / Maschera di vita, sentendomi pazzo”.
Oscar Wilde scrisse: “Date una maschera ad un uomo, e sarà sincero”.
Michael Jackson indossò una maschera per tutta la sua vita, perché gli permetteva di esprimere al meglio sé stesso, la sua arte, la sua persona, il suo alter-ego, ossia la superstar.
Ma le accuse del 1993 lo portarono a credere che quella maschera fosse inutile, che non potesse più proteggerlo.
La delusione, l'ansia, la depressione e l'abuso di farmaci lo spinsero verso il baratro e lui, in bilico tra oblio e responsabilità contrattuali, riuscì a scrutare il vero volto del mondo, agli antipodi dell'eterea Neverland, ora macchiata da un crimine mai avvenuto.
Nella sua solitudine e disperazione, realizza che quella maschera non lo ha aiutato a porsi al mondo con sincerità, esprimendo il vero sé stesso, ma ha attratto persone avide di denaro che lo hanno letteralmente distrutto, portandolo all'insania.
“Una rapida e improvvisa caduta in disgrazia / I giorni sereni sembrano lontani”: al pronunciar di questa strofa, una donna corre verso di lui, una delle tante persone che rincorrono una felicità monetaria destinata a pochi.
Ella le passa a fianco senza notare la star più famosa del pianeta.
Lui si scansa per farla passare, con aria afflitta di chi vorrebbe che lei si fermasse per chiedergli un autografo, triste emblema della sua vita sociale, del suo contatto umano... Ma quei giorni sembrano così lontani.
“L'ombra del Cremlino mi denigra / La tomba di Stalin non mi dà pace / Continuava e continuava ed è arrivato / Vorrei che la pioggia mi lasciasse in pace”.
Un uomo seduto su di una panchina osserva il volo di un piccione.
Anch'egli ha il volto afflitto da qualcosa che lo turba, come la donna nella caffetteria, come il mendicante, come Michael Jackson.
Ed è questo stato di afflizione che li porta a vedere il mondo attorno a loro al rallenty, tanto che l'uomo è in grado di scrutare cristallinamente le ali del volatile spiegarsi e dispiegarsi in aria.
Egli dà da mangiare ai piccioni, con l'aria di chi contempla la propria esistenza, il significato di essa, nonché il suo posto nel mondo.
“Come ci si sente (Come ci si sente) / Come ci si sente / Come ci si sente quando sei solo e sei freddo dentro?”
La telecamera zooma sul volto dell'uomo seduto sulla panchina, e la sua espressione risponde compiutamente alla domanda posta da Michael nel testo.
Il mendicante guarda un'ape, catturando a pieno la bellezza e il fascino del suo volo sinuoso, ed è come se l'ape ricambiasse lo sguardo.
Nessuno di loro appare turbato o sconvolto da questo lag temporale che sembra uscito da un episodio de Ai Confini della Realtà.
L'essere umano tende ad avere paura dell'ignoto e di ciò che non conosce.
Ma ci sono occasioni in cui è incuriosito dal cambiamento, anche se questo appare bizzarro e inspiegabile.
Forse, i protagonisti di questa storia vedono uno spiraglio di luce in quel che sta accadendo.
Una luce che possa illuminare le loro vite e farli uscire dall'ottenebrazione mentale che li divora.
“Abbandonato qui nella mia fama / Apocalisse della mente / Il KGB mi perseguitava (Hee) / Prendi il mio nome e lasciami stare / Poi un piccolo mendicante (Hee) chiamò il mio nome / Giorni felici annulleranno il dolore / Continuava e continuava / Ancora e ancora e ancora... / Prendi il mio nome e lasciami stare”.
La sublimazione della solitudine è espressa in una frase ossimoricamente significativa: “Abbandonato qui nella mia fama / Apocalisse della mente”.
Un uomo amato da milioni di persone, osannato da folle oceaniche in ogni luogo del mondo in cui si recasse, ma simultaneamente solo, terribilmente solo... Abbandonato nella sua fama.
Il montaggio video non poteva essere fatto meglio, in quanto, durante summenzionata strofa, ci viene mostrata una scena improntata come un déjà-vu: un uomo d'affari, simbolo del capitalismo, della realizzazione del sogno americano, lancia una moneta al povero mendicante.
Ma questi non diventa ricco. Non avviene una metamorfosi verso il miglioramento estetico e di facciata.
Questo déjà-vu rimanda al video di Billie Jean, quando Michael era egli stesso il simbolo della realizzazione del sogno americano.
Anche qui avviene la medesima cosa: l'uomo d'affari, che tutto ha ottenuto dalla vita (Michael Jackson), lancia una moneta ad un povero senzatetto, trasformandolo in un uomo nuovo, ben vestito, pulito e profumato, ricco, che alla fine riuscirà anche a trovare una bella donna.
Ma questo non è il videoclip di Billie Jean. Non è l'era Thriller.
È Stranger in Moscow. È l'era post-Chandler.
Un'era catturata spiritualmente in tutta la sua essenza in uno Short-Film drammatico, dai tratti neo-realistici, dallo stilema da film d'autore Noir.
Dimenticate le elaboratissime coreografie.
Dimenticate i passi di danza spaccamascella del Re del Pop.
Qui siamo dentro la sua mente devastata da accuse false e disgustose.
Cio che vediamo in questo bellissimo video è come appare il mondo esterno agli occhi di chi è stato ferito, di chi ha problemi di ansia, depressione e fobia sociale.
Un tetro ritratto psicologico della società moderna trasposto su pellicola.
“Il KGB mi perseguitava”... CONTINUA NELLA SECONDA PARTE...
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